Black Mirror, serie tv di Netflix, è sicuramente una delle più visionarie del nostro tempo. In Odio universale, ultimo
episodio della terza stagione, il protagonista indiscusso è l’odio, che esonda dallo “schermo nero” e miete vittime in
carne ed ossa.

Il web non è, per dirla con Nietzsche, un “retromondo”, una bolla evanescente e irreale. Scripta manent, verba volant. Le parole scritte non si dissolvono nel nulla. Ecco perché il fenomeno dell’Hate speech è un’emergenza reale. Questa
espressione, ormai di uso comune, indica la diffusione in rete di messaggi inneggianti all’odio contro singole persone o
intere fasce di popolazione. Nel saggio Mobilitazione totale, il filosofo Maurizio Ferraris ha osservato che sul ring 2.0 gli
utenti propendono decisamente per lo scontro diretto. Sempre Ferraris, però, ammette: «La tecnica, in generale, non perverte la natura umana, come vogliono gli apocalittici, ma nemmeno la asseconda docilmente, come vogliono gli integrati.» Laddove i primi si oppongono al cambiamento, i secondi lo salutano con entusiasmo. La tecnologia, in alcuni casi, può diventare la risposta ad una piaga di cui è erroneamente ritenuta responsabile. Lo dimostra Hatemeter, piattaforma per la prevenzione e il contrasto dell’islamofobia in rete, realizzata da un team di ricercatori del centro ICT, parte del polo scientifico e tecnologico della Fondazione Bruno Kessler. Il tool monitora i social attraverso un sistema basato sulla combinazione di linguaggio naturale, apprendimento automatico e analisi dei big data.

Trentogiovani è da sempre in prima linea nella lotta contro l’odio, attraverso iniziative come “(Oltre)passare le mura”, un percorso all’insegna dell’arte e della creatività verso il dialogo e l’integrazione.