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VORREI ESSERE...
Un’infermiera, uno scienziato, una maestra, un dottore. Queste sono alcune risposte che potremmo ricevere da un bambino quando gli si pone la domanda: “e da grande cosa vorresti essere?” E noi, noi ragazzi, da grandi cosa vorremmo essere?
Personalmente, in questo periodo di quarantena, essendo stata “costretta” a trascorrere molto tempo con me stessa, ho riflettuto molto su questa domanda. E soprattutto riuscirò a realizzarlo? Ad essere chi voglio essere? Sicuramente dipenderà soltanto dalla mia volontà e dal mio impegno.
Però c’è una cosa che non dipende da me: il mio genere. In che modo potrebbe influire sulla mia carriera lavorativa? Siamo nel 2020 e dovrebbe esserci la parità di genere, giusto? E invece ne siamo lontani. Indubbiamente sono stati conquistati diritti che fino a vent’anni fa sembravano irrealizzabili. Questi però non sono abbastanza per poter dire “nel mondo del lavoro non ci sono discriminazioni in base al genere”.
Ora cercherò di farvi capire perché. Due colleghi, uno uomo ed una donna, lavorano nella stessa azienda: stessa formazione, identiche competenze e svolgono pari mansioni. Fino a qua tutto normale direte. La differenza dove sta? Semplice: alla fine del mese alla donna spetterà un salario inferiore a quella dell’uomo.
In Italia, ancora oggi, la differenza retributiva tra un uomo ed una donna in ambito pubblico è pari al 5%, ma il dato più allarmante lo troviamo nell’ambito privato: 20% di disparità salariale.
Sembra assurdo, no? Come è assurdo che una donna durante un colloquio di lavoro debba rispondere a domande del tipo: “lei è fidanzata oppure sposata? Per caso ha intenzione di fare dei figli?”, o che al momento dell’assunzione molte donne sono costrette a firmare “in bianco” la lettera di dimissioni nel caso in cui dovesse andare in maternità. Sembra incredibile anche che ad una donna incinta non venga rinnovato il contratto con la scusa del “guarda, lo facciamo per il tuo bene e per quello della tua famiglia, così potrai dedicare tutto il tuo tempo e le tue forze a tuo figlio.”
A me sembra tutto così squallido, mi spaventa quasi. Tra circa cinque anni dovrò affacciarmi al mondo del lavoro e molto probabilmente io, come migliaia di altre ragazze e altrettante donne, dovremmo affrontare discriminazioni e violenze di del genere, perché sì: queste sono violenze.
Il nostro futuro spetta a noi. La situazione, soprattutto in Italia, necessita di essere cambiata e, perché questo accada, sono necessarie nuove politiche familiari che sostengano le donne ed il loro lavoro. Soprattutto è necessario un cambiamento sociale in cui la donna può fare carriera ed allo stesso tempo essere una brava madre. Le due cose non devono annullarsi, ma al contrario, completarsi.
Karin, 17 anni
Consulta provinciale degli studenti