Intervista agli artisti della Mostra Fenomeni: quando lo sport scrive la storia

Da ottobre a novembre 2019 Palazzo Thun ha ospitato la mostra Fenomeni: quando lo sport scrive la storia. Abbiamo voluto intervistare gli artisti dietro le immagini e le parole della mostra, per raccontarvela dal dietro le quinte e preservarne il messaggio... ed eccoci qui!
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Descrizione

Da ottobre a novembre 2019 Palazzo Thun ha ospitato la mostra Fenomeni: quando lo sport scrive la storia. Quando l’esposizione ha chiuso, abbiamo voluto intervistare gli artisti dietro le immagini e le parole della mostra, per raccontarvela dal dietro le quinte e preservarne il messaggio.

La mostra è a disposizione per qualsiasi ente desideri ospitarla, per informazioni contattare l’Ufficio Politiche Giovanili.

1. Qual è stata la storia che più ti ha colpito nel raccontarla/illustrarla?

Patrik (illustratore): La storia in cui mi sono calato con più intensità è quella di Muhammad Alì, una preziosa storia di riscatto sociale. Affonda le radici nella rabbia che contamina l'animo degli emarginati, la stessa che, se ben canalizzata, diventa quell'energia positiva che genera il cambiamento.

Nadia (illustratrice): Tutte le storie selezionate per la mostra sono molto toccanti, parlano di atleti di nazionalità diverse che hanno saputo trasmettere un importante valore etico nello sport e nella società, talvolta rappresentando o difendendo una minoranza. Mi risulta difficile individuare una sola storia. Ma sicuramente, uno tra i racconti che mi hanno commossa maggiormente è quello di Yusra Mardini, una giovane donna con una forza incredibile, in fuga dal suo paese d'origine. Realizzando il suo ritratto, nei suoi lineamenti, ho ritrovato le storie purtroppo terribilmente attuali di molti migranti e rifugiati.

Francesca (storyteller): E' difficile per me selezionarne una perché quando ci si documenta, si approfondisce la biografia di questi sportivi e si scopre il "dietro le quinte" di queste personalità ci si affeziona.

Raccontano tutte grandi battaglie, esprimono coraggio e tenacia e non riesco ad averne una "preferita".Tante inoltre sono quelle che, per motivi di spazi,o abbiamo dovuto scartare ma che avrebbero meritato di essere incluse. Per ragioni personali forse la storia che più mi è rimasta nel cuore è quella di Vera Caslavska, perché fa capire come in una dittatura lo sportivo, sia una macchina per lo stato, per produrre vittorie e glorificare l'immagine del Paese. Vera, nel momento stesso in cui ha mostrato il proprio dissenso, è stata se stessa, ha smesso di essere utile. Per questo la volontà e la forza che ha avuto pur di non andare contro ai suoi principi mi hanno molto colpita.

Stefania (storyteller): Per me è davvero difficile scegliere. Ho partecipato direttamente alla ricerca e selezione delle storie e posso assicurare che mi sono affezionata moltissimo a tutte. Se chiudo gli occhi però mi trovo davanti tre storie che mi sono entrate dentro: la 1. (non in ordine di importanza) è quella di Michelle Payne. Questo perché questa storia mi è giunta all'orecchio da mio padre che me l'ha raccontata una sera d'estate con commozione. Ero seduta su una panca di legno, avevo davanti la Paganella e un uomo che mi parlava di una storia lontana, quella della prima donna australiana ad aver vinto una sfida apparentemente troppo ardua. E' stata un'autentica folgorazione e inserirla un personale omaggio a chi, senza sapere del progetto, me l'ha sussurrata.

L'altra storia rimasta nel mio cuore è quella relativa ai capitani delle squadre di rugby che hanno sfidato un conflitto vivo di cui sappiamo troppo poco, perché l'Irlanda del Nord degli anni '70 era un Paese sull'orlo della guerra civile. Quando ho letto la loro storia, quando ho sentito l'audio di quella partita, ho capito cos'avevano fatto. Un gesto enorme. Un'assunzione piena di responsabilità. In un mondo dove nessuno si accolla mai la responsabilità di niente loro decidono di farlo. Di fare il loro dovere. Di scendere in campo e portare avanti un obiettivo. Avevano paura? sicuramente, ma hanno deciso che quella paura non fosse un deterrente.

La terza storia è quella di Eddie Edwards. Perché non si può rimanere indifferenti alla storia di un uomo che non aveva talento, ma aveva fame. Aveva una determinazione che lo porta lì dove aveva sempre sognato di arrivare: alle Olimpiadi . Eddie è un simbolo. Quello di un ragazzo, di un autentico outsider che rinuncia alla cultura dell'alibi. Che si concentra sulle sue potenzialità invece che sulle sue mancanze o sui suoi difetti.

Barbara (organizzatrice): ‘Fenomeni: quando lo sport scrive la storia’ racconta la quotidianità e la straordinarietà delle vite di venti persone che hanno praticato e interpretato lo sport come veicolo di educazione alla cittadinanza. Scegliere una sola storia non è affatto facile, proprio perché ognuna, con le proprie specificità, è portatrice di alti valori umani.

Avvicinandoci agli europei di calcio, colgo l'occasione per citare la parabola di Socrates e della Democrazia Corinthiana. La storia di una rivoluzione, la storia di un pallone e di più giocatori che, attraverso la pratica calcistica, si mobilitano con forza e determinazione per ostacolare la dittatura militare brasiliana in nome della libertà e della democrazia. Un esperimento sportivo e socio-politico che può aiutarci a ricordare che il calcio, così come qualsiasi altro sport, può trasformarsi in uno strumento civico capace di risvegliare le coscienze.

2. Come è stato lavorare a questo progetto?

Patrik: È stato molto stimolante poter dare un volto attraverso il mio stile di illustratore a personalità complesse e importanti nella storia per la conquista dei diritti civili. Quando ho l'opportunità di generare conoscenza attraverso il mio lavoro mi sento profondamente appagato.

Nadia: La realizzazione di illustrazioni prevede come step iniziale, indispensabile per il processo creativo, una fase di ricerca. Durante questa fase ho scoperto importanti personaggi sportivi di cui non conoscevo la storia, le battaglie intraprese e i successi raggiunti. Per me, lavorare a questo progetto è stato innanzitutto una scoperta. Ho scoperto una sfumatura del mondo sportivo che conoscevo veramente poco e che, devo ammettere, mi piace moltissimo.

Francesca: E' stato molto stimolante, un tuffo nella storia dei diritti civili, un viaggio alla scoperta dei retroscena di tante imprese sportive che hanno segnato tutta l'umanità e che troppo spesso rischiano di essere dimenticate perché figlie di sport minori. E' stato bello anche confrontarsi con i disegnatori e vederli dare una loro interpretazione artistica e con le altre ragazze che hanno lavorato al progetto: ci sono stati dibattiti, confronti dove ognuno ha portato il proprio contributo e punto di vista, i propri "perché sì".

Stefania: E' stato un percorso pieno di scoperte quindi è stato molto arricchente. Molte delle storie proposte sono poco conosciute, sono figlie di quegli sport ingiustamente definiti minori, soprattutto nel nostro Paese. Mettersi a caccia di storie di coraggio, di passione, di dedizione e anche di opposizione alle prepotenze è stato fortemente ispirante.

Barbara: Un progetto stimolante e di crescita, sia a livello individuale che collettivo. Un cammino che mi ha permesso di scoprire i volti di persone, donne e uomini, che nella vita hanno saputo (r)esistere e lottare per la conquista dei diritti civili che oggi ci tutelano e per la promozione di valori quali l'amicizia, la lealtà, il coraggio. Un percorso di gruppo, di rete e dialogo tra più soggetti ed enti, in cui ognuno - con le proprie particolarità e inclinazioni - ha donato con competenza ed entusiasmo il proprio contributo.

3. Cosa ha lasciato a te, personalmente, questo lavoro?

Patrik: Questo lavoro mi ha offerto la preziosa occasione di avvicinarmi a vissuti che conoscevo solo superficialmente. Le storie in cui mi sono immerso hanno fatto da cassa di risonanza a molte delle drammatiche vicende che dominano la cronaca attuale. Quando l'umanità vacilla servono personalità ribelli che si oppongono, valeva cent'anni fa e vale oggi.

Nadia: Una più forte consapevolezza dell'esistenza di un modo diverso di "fare sport", rispetto a quello che siamo abituati a vedere sotto ai riflettori delle trasmissioni Tv. Le storie che la mostra racconta, sono storie di impegno sociale e speranza. Sono storie fatte di persone, e sono le persone a fare la Storia con i loro valori e la loro determinazione.

Francesca: Questo lavoro mi ha fatto scoprire molti volti, storie, avvenimenti che hanno determinato ed influito sulle battaglie per i diritti civili. Ho apprezzato il valore culturale e sociale dello sport che non è qualcosa di assestante, di lontano, dal resto della società, ma lo sport in fondo, è manifestazione di essa, la raccontano nelle sue contraddizioni, nei suoi problemi e nelle sue sfide.

Stefania: Mi ha lasciato tante storie che non conoscevo. Mi ha insegnato che non ci sono mai condizioni facili. Che il successo è una patina tolta la quale ci sono incredibili sacrifici e spesso grandi sofferenze. Mi ha insegnato che, di fronte ai bivi della vita, si è soli con la propria coscienza. E' facile dire "avrei fatto la stessa cosa". Ma se mi fossi trovata sul podio, alle Olimpiadi, dopo anni di fatiche, sforzi, rinunce sarei mai stata in grado di abbassare la testa rifiutandomi di cantare un inno e dimostrando quindi di essere in aperta opposizione ad un gigante come l'Unione Sovietica (storia di VeraČáslavská), immaginando le conseguenze di un tale gesto? sarei mai stata in grado di dire, all'apice della carriera, un "No" che mi avrebbe trascinata in carcere, come quello pronunciato da Muhammad Alì, di fronte all'obbligo di andare a combattere in Vietnam? La verità è che non lo so.

Barbara: Un seme da germogliare e condividere. Lo sport, e volendo si potrebbe ampliare il discorso anche alle pratiche o ai prodotti culturali, è una componente essenziale della nostra società. E' un agente trasformativo che può aiutarci a riconoscere, comprendere e valorizzare il senso dell'umano.

4. Con una frase od una citazione, mi descriveresti cosa ti porti via dall'esperienza?

Patrik: "Uno schiavo che non ha coscienza di essere schiavo e che non fa nulla per liberarsi, è veramente uno schiavo. Ma uno schiavo che ha coscienza di essere schiavo e che lotta per liberarsi già non è più schiavo, ma uomo libero."  (Vladimir Lenin)

Nadia: Da un lato mi sono portata a casa la tenacia e la resistenza degli atleti, non tanto parlando di successi sportivi, ma di lotte personali. Queste storie spronano a tenere duro anche nelle piccole sfide quotidiane. Dall'altra parte c'è la spinta di conoscere le storie che si celano dietro alle persone, di capire i percorsi e le scelte che le hanno portate ad essere quello che sono.

Francesca: Una frase ha guidato il mio lavoro in questa mostra ed è stato il motivo per il quale ho deciso anche di realizzarla " Lo sport ha il potere di cambiare il mondo. Ha il potere di suscitare emozioni, di unire le persone come poche altre cose al mondo. Parla ai giovani in un linguaggio che capiscono. Lo sport può creare speranza dove prima c'era solo disperazione". E' un concetto espresso da Nelson Mandela che esprime pienamente il senso di questa mostra, l'andare oltre all'impresa sportiva, oltre al risultato, ma apprezzare il significato sociale, relazionale e culturale dello sport.

Stefania: C'è una frase che riecheggia nelle mie orecchie rileggendo queste storie ed è "volli, volli fortissimamente volli" di Vittorio Alfieri. Il minimo comune denominatore di queste storie è stato infatti il rifiuto della cultura dell'alibi e la volontà. Una volontà indomita che ha portato a prendere delle decisioni spesso rischiose. Al limite della follia. Senza mai nascondersi, ma mettendoci sempre la faccia.

Barbara: "Never say never, because limits, like fears, are often just an illusion." (Michael Jordan).

5. In quali luoghi vorresti vedere abitare la mostra, dove credi sia più importante venga esposta?

Patrik: Sarebbe interessante proporre la mostra in luoghi dove il confronto con le vicende narrate può maturare una più nitida coscienza di quanto sia importante riflettere su cosa significa rispettare i diritti umani e civili di ciascun*.

Nadia: Ritengo che la mostra sia molto versatile, grazie ad una tematica adattabile al mondo sportivo, ma anche ad un'ambiente più mirato alla solidarietà e ai valori sociali. Si presterebbe bene ad essere esposta in palazzetti, nel corso di festival e conferenze sportive e durante gare e competizioni di rilievo, indifferentemente dallo sport praticato. Sarebbe un'ottimo spunto di riflessione anche all'interno di percorsi culturali e motivazionali pensati per ragazzi, festival ed eventi aventi come tematica principale la solidarietà e i valori etici personali. Sarebbe coerente anche all'iniziativa "Fa la cosa giusta".

Francesca: Mi piacerebbe che queste storie venissero conosciute dai giovani attraverso la scuola, attraverso le agenzie sportive sul territorio perché queste sono realtà frequentate da tutti, hanno un bacino eterogeneo di utenti e forse così possono colpire anche chi non avrebbe mai letto o mai ascoltato vicende di questo tipo. Inoltre quelli narrati, sono tutti racconti di coraggio e di rigore morale e credo che possano aiutare i ragazzi a capire quanto è importante portare avanti le proprie idee, i propri valori in ogni ambito della vita.

Stefania: Vorrei vedere la mostra nelle scuole. Perché lo sport è una delle agenzie di socializzazione più importanti ma nel nostro Paese è spesso tristemente sottostimata, addirittura disincentivata dallo stesso corpo docente. Fare sport è considerato come qualche cosa che toglie tempo allo studio e questo è ingiusto e miope. Lo sport è apprendimento, sacrificio, organizzazione. E' sapersi rialzarsi dopo le cadute. E' rispetto delle regole e dell'avversario e questo è determinante in una fase di crescita. Queste storie fanno capire come lo sport abbia aiutato a diventare, prima di tutto, delle brave persone. Vorrei che questa mostra fosse inoltre portata anche nei piccoli centri. Quelli dove spesso i contenuti culturali sono più difficili da promuovere.

Barbara: In spazi di socializzazione, aggregazione e formazione. In città e in centri periferici. Per le strade e in gallerie d'arte. In festival e in piccoli eventi. In ogni luogo voglia essere accolta e ascoltata.

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Data: Mercoledì, 04 Marzo 2020