Giocare a Pallavolo a Teheran – Alessandra Campedelli al Festival dello Sport

Tra sport e diritti, la voce di Alessandra Campedelli al Festival dello Sport diventa racconto di libertà e consapevolezza.
tre persone su un palco rosa e azzurro
© Archivio Ufficio Stampa Provincia Autonoma di Trento - Martina Massetti - Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0)

Descrizione

In Leggere Lolita a Teheran, Azar Nafisi racconta le difficoltà vissute durante il suo periodo come professoressa di Letteratura Inglese all’Università Allameh Tabataba’i, nel cuore della capitale iraniana. I contenuti delle sue lezioni erano costantemente vigilati dalla Repubblica Islamica, personificata nella figura di un “censore cieco”, uno sguardo onnipresente attraverso il quale era costretta a interpretare non solo la realtà quotidiana, ma anche la letteratura stessa:

“Il censore rivaleggiava con il poeta nel ricreare e riordinare la realtà: dovevamo inventare noi stessi e al contempo riconoscerci come il prodotto della fantasia di qualcun altro.”

Stanca delle limitazioni imposte, Nafisi decide di lasciare la cattedra e istituire un piccolo spazio di libertà nel suo soggiorno. Lì riunisce sette sue ex studentesse per un seminario clandestino, dove possono leggere e discutere quei libri proibiti nelle aule universitarie. In quell’atto silenzioso e sovversivo, tra una pagina e l’altra, le ragazze imparano a conoscersi e a riconoscersi, e riflettono insieme sulle comuni difficoltà dell’essere donna nella Repubblica Islamica:

“Quel piccolo mondo, quel soggiorno con la finestra che incorniciava i miei amati monti Elburz, diventò il nostro rifugio, il nostro universo autonomo, una sorta di sberleffo alla realtà di volti impauriti e nascosti nei veli della città sotto di noi.”

In un contesto in cui le donne sono costrette a coprirsi, a non mostrarsi e, talvolta, persino a non pensare – in una parola, a essere “invisibili” – pratiche come la lettura possono diventare strumenti di resistenza, contestazione e autoaffermazione.

Alessandra Campedelli, al centro, discute con Francesco Rizzo (a sinistra) e Luisa Pizzini di Fondazione Caritro (a destra). Crediti: Archivio Ufficio Stampa Provincia Autonoma di Trento - Martina Massetti

Deve essere giunta a conclusioni simili anche Alessandra Campedelli, che al Festival dello Sport 2025 ha raccontato la sua esperienza da allenatrice della nazionale femminile di pallavolo in Iran e in Pakistan, presentando il suo libro Io posso. Un’allenatrice di pallavolo in Pakistan e Iran. In questo senso, il titolo rappresenta già una forte presa di coscienza:

“Perché Io posso? Prima di tutto perché, oggi, posso scegliere di essere qui, di raccontare, di partire o restare, di vestirmi come voglio. Poche delle donne che ho incontrato, invece, hanno questa possibilità… È stato allora che ho capito davvero quante possibilità abbiamo – e quanto spesso le diamo per scontate.”

Campedelli mette in luce lo squilibrio tra squadra femminile e maschile, non solo nella visibilità dello sport, ma anche nelle condizioni in cui donne e uomini si allenano e giocano.

“Sono partita per l’Iran nel dicembre 2021 e sono rimasta fino al febbraio 2023… Le atlete dovevano essere sempre coperte, dalla testa ai piedi… La nostra palestra non aveva aria condizionata. Le ragazze perdevano fino a tre litri di sudore dopo ogni allenamento.”

Nonostante le difficoltà, la nazionale iraniana riesce a togliersi qualche soddisfazione:

“Abbiamo vinto una medaglia d’argento ai Giochi Islamici, battute in finale dalla Turchia. Era dal 1956, prima della rivoluzione, che l’Iran non saliva sul podio.”

Eppure, quella vittoria non fu accolta con entusiasmo: dimostrava che anche le donne avrebbero potuto farcela.

Come ricorda Nafisi, in Iran le donne che disobbediscono diventano una minaccia:

“Le giovani donne che disobbediscono vengono caricate a forza nelle auto della polizia, portate in prigione, frustate, umiliate… È consapevole, Sanaz, del proprio potere?”

Così, anche lo sport può diventare uno strumento di resistenza, come hanno dimostrato le giocatrici iraniane durante le proteste per Mahsa Amini, arrivando persino ad abbassare il velo – un gesto che poteva costare l’esclusione.

Campedelli spiega che per rendere lo sport davvero emancipante serve abbattere le barriere comunicative tra culture diverse:

“Quando abbiamo portato la nazionale pakistana in Italia… erano ragazze che non erano mai state stimolate. Da quel momento abbiamo iniziato a investire nelle scuole, affinché le bambine potessero essere stimolate fin da subito.”

Un episodio simile avviene ai Giochi Islamici:

“Il giorno prima della semifinale, le ragazze chiedono di non allenarsi e di andare a fare shopping… Alla fine comprano solo calzini di cotone, lenzuola e federe. Pensavo si sarebbero concentrate su qualcosa di più frivolo, invece no. Mi ha fatto riflettere: credevo di averle comprese, ma mi sbagliavo.”

Pochi giorni fa, anche grazie al suo lavoro, la nazionale femminile iraniana ha vinto la medaglia d’oro ai Giochi dell’Asia Centrale – un risultato storico. Ma Campedelli non ha potuto festeggiare:

“Dopo la morte di Mahsa Amini non mi sentivo più sicura… Mi sono sentita parte della loro propaganda. Per me era troppo.”

Come scrive Nafisi:

“Il peggior crimine di un regime totalitario è costringere i cittadini, incluse le vittime, a diventare suoi complici. Farti ballare con il tuo carceriere è un atto di estrema brutalità.”

Eppure, dalle parole di Campedelli emerge anche la forza delle nuove generazioni iraniane, capaci di riconoscere le contraddizioni e di voler restare accanto al proprio popolo:

“Otto delle mie ragazze si trovavano in Vietnam mentre Teheran veniva bombardata… Desideravano uscire, ma allo stesso tempo non volevano abbandonare la loro comunità.”

Ora per Alessandra potrebbe iniziare una nuova avventura in Africa, con la prospettiva delle Olimpiadi di Los Angeles 2028:

“Sarebbe un’esperienza significativa, un’opportunità per crescere e avere un impatto positivo anche a livello locale e comunitario.”

Sempre con la convinzione che lo sport non sia solo un fine, ma soprattutto un mezzo.

Luca Perbellini

Nella foto Alessandra Campedelli, al centro, discute con Francesco Rizzo (a sinistra) e Luisa Pizzini di Fondazione Caritro (a destra). 

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Data: Giovedì, 30 Ottobre 2025