I figli di Babbo Capitale

Per la Redazione Diffusa un contributo a cura di Elisa Egidio a proposito delle contraddizioni del periodo natalizio.
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Descrizione

“Non c’è epoca dell’anno più gentile e buona, per il mondo dell’industria e del commercio, che il Natale e le settimane precedenti.”

L’incipit de I figli di Babbo Natale, racconto tratto da Marcovaldo ovvero Le stagioni in città, celebre opera di Italo Calvino edita da Einaudi, è più pregnante di una legge economica di Keynes.

Questa novella natalizia, ultima di venti composte nel decennio tra il 1953 e il 1963 sullo sfondo di un’Italia sospesa tra il Dopoguerra e lo scenario ottimistico del miracolo economico, parla, in fondo, di noi. Al crepuscolo di questo bizzarro 2021 sembra di assistere ad un Natale per induzione, partorito con un mese e mezzo di anticipo per qualche artificio non tanto ginecologico, quanto, piuttosto, del marketing. Già a metà novembre non c’era negozio, supermercato, ufficio o palestra che non avesse già il suo albero in bella mostra proveniente direttamene dalla foresta siberiana.

I mercatini di Natale, montati tempestivamente a Ferragosto, sono diventati l’attrazione principale di turisti in cerca di cimeli introvabili persino nelle piramidi: slitte a motore ibrido, mascherine con la barba di Babbo Natale e guanti in pelle di renna possibilmente cruelty free. Il Black Friday prenatalizio, sfociato poi in una black week e in un black month, è solo lo step avanzato di un sales game inaugurato dalle spese di Halloween. Neanche il tempo di una siesta ed è già iniziata la rincorsa al regalo perfetto millantato da spot promozionali più molesti dei fantasmi del Sesto Senso.

Non stupisce dunque che proprio i “templi del consumo”, secondo la definizione di George Ritzer, sociologo americano studioso della globalizzazione, siano i nuovi santuari adibiti all’Avvento di una festività che può essere nominata solo dalla pubblicità. Ed era ora, dopo un biennio di chiusure provvisorie o, ahimè, definitive… Ma anche quella parvenza di condivisione e di comunanza alimentata dalle aperture post lockdown è stata spazzata via definitivamente dall’e-commerce, una tendenza che ha reso lo shopping un fatto puramente individuale. Di tutto ciò, eccetto l’ultimo punto, il visionario Calvino scrive con largo anticipo a metà del secolo scorso.

L’ufficio Relazioni Pubbliche della Sbav, fantomatica ditta in cui è impiegato Marcovaldo, protagonista di tutta la raccolta, cerca un Babbo Natale volontario che recapiti le strenne natalizie a domicilio. Scelto per l’infausto compito, il nostro, un rider ante litteram, percorre in sella al suo “motofurgoncino” la città “festosa e produttiva”, dove “nulla è più bello che sentire scorrere intorno il flusso dei beni materiali e insieme del bene che ognuno vuole agli altri.” Costretto a fare regali ai figli dei ricchi, proprio lui, che non può farne neanche ai suoi, questo impiegatuccio precario rappresenta una fascia sociale dai sogni troppo elevati rispetto alle proprie modeste possibilità.

Attraverso gli occhi di Marcovaldo, Calvino ci consegna del Natale una versione contraffatta, proprio come i gadget recapitati ai bambini, disincantati a tal punto da non credere neanche più a alle varie versioni di Babbo Natale assunte per conto delle aziende concorrenti. Un cinismo suggellato dall’intuizione del “regalo distruttivo” da parte dell’“Unione Incremento Vendite Natalizie”, applicazione perfetta della cosiddetta obsolescenza programmata, una logica che condanna a morte i beni di consumo ancora prima di metterli sul mercato. Un ritmo sostenuto dei consumi è in questo modo assicurato.

“A Natale puoi fare quello che non puoi fare mai” è dunque l’inno motivazionale di Babbo Capitale, quello che non riceve lettere con liste di desideri, ma solo ordini su eBay.  

- Elisa Egidio

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Data: Martedì, 21 Dicembre 2021